Ragazze filmate a seno scoperto o mentre fanno sesso e poi buttate in pasto ai loro amici e compagni sulla Rete, ragazze adescate con un sms da uomini che vogliono “iniziarle” alla vita sessuale, ragazzi truffati da coetanee che poi li ricattano chiedendo soldi per non far circolare sul web un improvvisato spogliarello.
Adolescenti che per questo si suicidano: come l’italiana Carolina, 14 anni, che pochi giorni fa per una foto rubata si è gettata dal balcone di casa o Amanda, sua coetanea canadese, che prima di uccidersi ha girato un video per spiegare quello che era successo.
La crociata contro il cyber-bullismo è stata lanciata dalle Iene nella puntata di domenica scorsa (http://www.iene.mediaset.it/puntate/2013/01/13/puntata.shtml) e dovrebbe, a mio avviso, diventare materiale educativo, utile a insegnanti e genitori per aprire un dialogo con studenti e figli.
Agghiaccianti anche le risposte date da alcuni studenti di un liceo intervistati nel corso della trasmissione, da cui si capisce come gli adolescenti non abbiano consapevolezza di maneggiare strumenti, smartphone e computer, che se usati male possono trasformarsi in vere e proprie armi.
Riprendere con il telefonino è per loro un’abitudine, un atto istintivo che non lascia spazio al pensiero. I motivi che li spingono, truffe a parte, sono assolutamente superficiali: lo fanno per divertirsi, per vantarsi con gli amici, per sfogare l’esuberanza sessuale propria dell’età ma che evidentemente non trova modi migliori di incanalarsi.
Fortunatamente non tutte le storie hanno un finale tragico.
Le Iene hanno smascherato un uomo di 35 anni che ha adescato una sedicenne via telefonino. Oltre 200 gli sms che le ha inviato, tutti con messaggi sessuali molto spinti ed espliciti. Fortunatamente Pamela ne ha parlato con mamma e papà. Così loro si sono sostituiti a lei nel rispondere ai messaggi e alle telefonate, fino a organizzare un incontro durante il quale l’adescatore è stato smascherato.
Inquietante però quanto riferito dalla madre della ragazza: si era rivolta alla polizia ma le era stato detto che non si poteva intervenire perché nel comportamento dell’adescatore non si configurava un vero e proprio reato.

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