SOCIAL NETWORK: “BAR SPORT” O CLUB PER POCHI ELETTI?

E’ meglio incontrare i propri simili o persone con interessi e caratteristiche diversi dai nostri?
Secondo il giornalista del Corriere Paolo Di Stefano è giusta la seconda.
Nel suo pezzo (http://www.corriere.it/tecnologia/social/13_aprile_27/twitter-affinita-suggerimenti_ba340524-aefa-11e2-a5a6-3fc36303fbd5.shtml), pubblicato sul quotidiano oggi in edicola, Di Stefano infatti sostiene che Twitter, aggregando le persone che si assomigliano e coltivano identiche passioni, finisce per creare “un club esclusivo“, che raggiunge lo scopo di rassicurare le persone sulla loro inclusione in un gruppo ma in definitiva non contribuisce a far scoprire nuovi mondi.
Tempo fa avevo scritto qualcosa di simile riguardo a Facebook e sarei pronta a sottoscrivere di nuovo quel post. Perché è vero che Facebook è nato per far reincontrare vecchi amici o compagni di studio, ma è altrettanto vero che si configura soprattutto come una specie di “bar sport” (non me ne voglia Zuckerberg!) dove si chiacchiera, ci si arrabbia,  si condividono gioie e dolori pubblici o privati, fotografie di familiari, paesaggi e animali domestici. (Gira anche molta fuffa, ma questo è un altro discorso).
Personalmente quindi apprezzerei il fatto di conoscere su Facebook persone anche un po’ diverse da me, che possano magari farmi scoprire altri interessi e punti di vista differenti, mentre regolarmente mi si consigliano nuovi amici con un retroterra simile al mio.
Twitter però è diverso. Si configura più come un luogo virtuale per lo scambio di riflessioni e occasioni di incontro in determinati ambiti di lavoro o comunque di impegno intellettuale e/o sociale.
Non a caso tra le parole più gettonate (perlomeno tra chi seguo e tra chi mi segue) si trovano termini come “coworking”,”cowinning” e “crowdfunding”(per chi non pratica queste praterie e mastica poco l’inglese traduco con “condivisione di spazi lavorativi”, “condivisione di traguardi di successo” e “condivisione di un progetto attraverso finanziamenti in denaro”).
Io sto su Twitter proprio perché mi consente di ampliare le mie conoscenze negli ambiti di mio interesse e penso che sia così per buona parte di quelli che lo usano.
Sul fatto poi che rischi di diventare “un club esclusivo” devo dare atto a Di Stefano che qualcosa di vero c’è.
Ma non credo dipenda dall’uccellino che cinguetta. Credo piuttosto che l’uccellino si limiti a riflettere un male che affligge l’Italia ormai da decenni e che si chiama “ossessione di appartenere a una casta“.
Che non è solo quella dei politici, ma riguarda molte altre categorie di professionisti e non.
E’ l’ossessione per cui se non sei parente o amico di qualche parente o amico non vale la pena ascoltarti. Neppure se sai dire o fare cose più interessanti di loro.

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Annamaria Vicini
Annamaria Vicini
Giornalista pubblicista ho collaborato con quotidiani nazionali (L'Unità, Corriere della Sera, Il Giorno) e, dopo essermi trasferita da Milano in Brianza, con testate a carattere locale. Fulminata sulla via del web, sono passata nel 2001 a dirigere un sito Internet e una tivù a circuito chiuso nell'ambito della Grande Distribuzione. Ho realizzato house organ aziendali e mi sono occupata di Ufficio Stampa e Pubbliche Relazioni. Attualmente lavoro come free-lance e sono Digital Champion di Merate (Lc).

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