Dimenticate il nerd che lavora 24 ore su 24 chiuso da solo in una stanza. Le nuove parole d’ordine per una startup di successo sono altre, come “prenditi tempo per riflettere”, “non lavorare di più, ma in modo più intelligente”, “non essere egocentrico”, “scegli di essere positivo e felice”. Ma soprattutto quello che sta davvero alla base di un’impresa vincente è l’essere consapevoli della propria cultura aziendale e metterla in pratica ogni giorno.
No a valori altisonanti, sì a buone pratiche quotidiane
Il “nuovo Vangelo” per startup di successo è stato illustrato martedì 14 marzo da Giovanni Pozza e Nicoletta Foresti di Fullglass nel corso di un workshop presso TIM#Wcap Accelerator di Milano.
Interessante l’analisi dell’importanza di avere una cultura aziendale condivisa da tutti i membri del team, che si traduca in comportamenti e non rimanga solo sulla carta.
Per una startup di successo non serve avere valori altisonanti, se poi questi non corrispondono ad abitudini e pratiche quotidiane. Universalmente conosciuto è per esempio il caso della Enron, il gigante petrolifero statunitense finito in amministrazione controllata a causa di una colossale truffa contabile.
“Eppure la Enron aveva valori come Comunicazione, Rispetto, Eccellenza“, ha ricordato Pozza, “ma questo non ha impedito che i suoi dirigenti finissero in carcere“.
Già, ma come scegliere i valori da mettere in pratica?
Per i due esperti la risposta alla domanda viene dal riflettere su quali abitudini ci fanno agire in modo efficace e quali no.
Ma attenzione: anche se non è scritta, la cultura aziendale esiste comunque ed è bene esserne consapevoli per evitare comportamenti che influiscono in modo negativo sull’andamento dell’impresa. Lamentele, ritardi, riunioni in cui si prendono decisioni che poi non vengono attuate sono esempi di una cultura aziendale implicita e pericolosa perché chi la pratica non ne è consapevole ma i suoi effetti possono essere devastanti.
“Spesso le startup si preoccupano dei loro competitor, ma è più facile che le neo-imprese si suicidino per mancanza di motivazione“, hanno messo in guardia i coach di Fullglass.
Startup di successo: i casi Buffer e Zappos.com
Due esempi positivi vengono da Buffer, un’app per la condivisione di notizie sui social media, e da Zappos.com, negozio online di scarpe e vestiti il cui fondatore Tony Hsieh ha scritto un libro sulla “cultura della felicità” (Delivering happiness).
I dieci mantra di Buffer per una startup di successo sono particolarmente illuminanti sul nuovo corso che sta trasformando l’immagine dello startupper da quella del nerd un po’nevrotico e asociale a quella completamente opposta dell’imprenditore rilassato e felice.
Emblematico il primo (“Choose positivity and happiness”), che non deve essere visto in modo superficialmente godereccio ma implica valori importanti come la trasparenza (“Default to transparency” è il secondo) che comporta azioni coraggiose come la pubblicazione di tutte le voci di bilancio, stipendi compresi.
Il terzo (“Focus on self-improvement”) e il quarto (“Be a no-ego doer”) mettono nella giusta relazione l’individuo con il team: semplificando, un po’ di ego ci vuole ma essere troppo attaccati alle proprie idee non va bene, occorre riconoscere il valore del team grazie al quale le idee di ciascuno dei componenti possono esprimersi al meglio. Il quinto (“Listen first, then listen more”) viene di conseguenza, ma non significa solo ascoltare, può anche voler dire avere la pazienza di spiegare e rispiegare quello che si vuole comunicare perché anche la chiarezza nell’esprimersi è un valore, il sesto, da mettere in pratica (“Have a bias toward clarity”).
Del settimo (“Make time to reflect”) e dell’ottavo (“Live smarter, not harder”) si è già detto: esempi pratici possono essere il creare spazi in cui poter staccare di tanto in tanto dal lavoro e il darsi un orario di uscita che consenta di essere riposati il giorno successivo.
Per niente scontati, visti i tempi attuali, il nono (“Show gratitude”) che invita a mostrare la propria gratitudine verso colleghi e collaboratori, e il decimo (“Do the right thing”) che sollecita a fare bene il proprio lavoro.
Quest’ultimo, ha raccontato Pozza, venne aggiunto in seguito a una email del Ceo di Buffer che riportava la lamentela di un cliente. Insomma, “il cliente ha sempre ragione”, ma questo lo si diceva già ai tempi dei nostri nonni.