Seejay utilizza informazioni,video e immagini postate dagli utenti.
Se siete tra quelli che pensano che i social network sono una gran bella cosa ma ci vorrebbe qualcuno che mettesse un po’ di ordine in quel caos, allora Seejay è la vostra piattaforma ideale. Perché è proprio questo che vuole fare: sfruttando la gran quantità di informazioni, video e immagini che ogni giorno viene postata su Facebook, Twitter, Google+ o Instagram , arrivare a creare un “social wall”, ovvero una narrazione che organizzi i contenuti in modo personalizzato e accattivante.
Gli obiettivi, a seconda che si tratti di mezzi di comunicazione, blogger o brand aziendali, vanno dal coinvolgere ed espandere la propria audience social, a promuovere il proprio marchio, prodotto o evento, ad acquisire nuovi clienti.
E non è tutto. Perché Seejay può anche profilare gli utenti e può quindi fornire al cliente una rappresentazione della propria audience così che possa meglio indirizzare le proprie scelte strategiche e incrementare la performance sui social.
Attualmente Seejay è in fase funding, ovvero è alla ricerca di nuovi finanziatori, attraverso siamosoci , una piattaforma –vetrina per startup che necessitano di risorse per espandersi sul mercato.
Seejay è una storia emblematica di che cosa significhi fare startup in Italia.
Ma Seejay è anche una storia emblematica di che cosa significhi oggi fare startup in Italia, con tutte le difficoltà che questo comporta.
Fabrizio Ferreri, siciliano di Catania con all’attivo tre startup, una laurea in Filosofia, due dottorati (Logica e Sociologia) e un master in Economia alla Bocconi, nonché uno dei due fondatori della società, ha accettato di raccontarcela.
Ne è uscito uno spaccato davvero interessante, che può aiutare a capire perché nel nostro paese nascano molte imprese innovative ma con un tasso di mortalità che sfiora il 90%. E anche quanto impegno e studio e fiducia in se stessi siano necessari per arrivare a realizzare un’idea di startup.
“Seejay è nata dall’incontro di due team di aspiranti neoimprenditori che si sono conosciuti durante un evento alla Camera di Commercio di Milano. L’idea iniziale era quella di realizzare una piattaforma di citizen journalism, aggregando le informazioni postate spontaneamente dai cittadini. Il concetto è simile a quello di una delle due startup di provenienza, Decoro Urbano, che promuove il coinvolgimento dei residenti per segnalare problemi alle amministrazioni locali e dare il proprio aiuto in caso di emergenze. Nella nuova startup volevamo invece coinvolgere i cittadini come produttori di notizie e rivolgerci quindi alle grandi redazioni media”.
E qui sono nati i primi problemi…
“Sì, perché noi proponevamo il cloud, tutto il mondo ormai si muove verso il cloud, e loro invece volevano il software in casa! Ma le difficoltà erano anche altre: al nostro interno non c’era chiarezza nei ruoli e la flessibilità a volte si traduceva in caos organizzativo. Inoltre dare vita a una startup è oneroso: solo di commercialista devi prevedere un costo di 5.000 euro all’anno. Per non parlare dei paletti burocratici e amministrativi…”.
E’ allora che avete pensato di rivolgervi agli investitori?
“Ci siamo rivolti a Nana Bianca di Firenze e al suo fondo Club Italia Investimenti 2. L’iter di selezione è stato lungo e complicato, ma siamo risultati unici vincitori aggiudicandoci tre mesi di incubazione e 100.000 euro circa di finanziamento in cambio di quote della società. Trovare un investitore ha delle ricadute estremamente positive: intanto ti senti le spalle coperte e poi, a livello psicologico, avere qualcuno che crede in te ti fa avere più fiducia in te stesso. In cambio devi aspettarti che il finanziatore possa chiedere qualche modifica all’impostazione della tua startup”.
Quindi, dall’idea iniziale di piattaforma di giornalismo civico siete approdati a quella di aggregazione di contenuti sui social network.
“Sì, questo è successo a metà 2013. Eravamo in otto e siamo rimasti in due. Anche il modello di business è cambiato. Eravamo partiti pensando a un modello BtB (Business to Business), ma poi siamo passati al BtC (Business to Consumer) e siamo riusciti a coinvolgere 100.000 utenti. L’obiettivo era arrivare a 1 milione e per raggiungerlo ci sarebbero voluti altri due anni. Così abbiamo deciso di tornare al modello precedente.”
Generare traffico sul web non è facile, in effetti. Può sembrarlo a occhi inesperti, ma invece non lo è affatto.
“E’ così. L’idea che si ha del web è che tutto sia immateriale e che quindi si possa prescindere dalla dimensione territoriale. Invece gran parte del traffico dipende da quanto ci si muove e si è presenti nel proprio ecosistema di riferimento. Dall’anno scorso siamo tornati al BtB aggiungendo anche nuove features, per esempio quelle di tipo semantico. Praticamente siamo ripartiti da zero, ma le prospettive sono buone. Ci hanno contattato realtà importanti come Tiscali, Banzai e Volagratis”.
Il team di Seejay attualmente è costituito dai due fondatori Fabrizio Ferreri e Carlo Brunelleschi, che si occupano di strategie di business e tecnologiche, a cui si sono aggiunti Andrea Ortis (infrastrutture), Fabrizio Verrocchi (comunicazione), Francesco Improta e Fabrizio Di Bella (grafica, web design), Sabrina Longo (commerciale).
L’età media è sui 30 anni, la provenienza geografica è in parte siciliana e in parte romana. La startup attualmente è ospitata nella sede di Working Capital a Catania.
3 Comments
perchè non far loro conoscere Coopstartup? Sono un team, credo abbastanza paritario, vogliono far crescere la loro impresa nel tempo in modo sostenibile, la cooperativa potrebbe essere un’idea …
Sarebbe interessante in effetti sapere se hanno preso in considerazione questa prospettiva e, in caso negativo, i motivi che li hanno portati a escluderla. O magari semplicemente non la conoscono…
Aggiungo una richiesta di chiarimento: ma agli incentivi Coopfond per startup cooperative si può accedere anche indipendentemente dai bandi ?